I sacerdoti, ammirando lo zelo di Gaetano Errico nel ministero della confessione e notando il tempo che egli trascorre nel confessionale, lo chiamano “uomo di pietra o di marmo”. Fin dall’inizio del suo sacerdozio si dedica al ministero della confessione con diligenza, assiduità, pazienza, senza mai rifiutarsi e risparmiarsi.
Sente quest’esercizio, come l’impegno principale del suo servizio sacerdotale ai fratelli e cerca di renderlo al meglio, usando sempre prudenza, fermezza, discrezione, discernimento, mansuetudine, bontà e soprattutto amore.
Cerca di infondere in tutti fiducia nella misericordia di Dio e si premura di accogliere con grande carità ed amabilità, per aiutare a superare la naturale vergogna.
Si fa fratello dei suoi fratelli, che gli manifestano le proprie debolezze.
Le persone, perciò, lo cercano per la sua disponibilità e bontà e, soprattutto, attratte dal profumo della sua santità.
Gaetano Errico s’iscrive tra le figure straordinarie di sacerdoti, che, instancabili, fanno del confessionale il luogo per dispensare la misericordia di Dio, aiutare gli uomini a convertirsi, a lottare contro il peccato e le tentazioni, a progredire nella vita spirituale e ad incamminarsi per la santità.
Quanti santi sono usciti dal lavoro oscuro, assiduo e zelante di tanti sacerdoti, chiusi nel confessionale. Un lavoro sconosciuto alla pubblica opinione e noto solo a Dio. Il ministero della confessione certamente il più difficile e delicato, il più faticoso ed esigente, è anche il più consolante e gratificante per il sacerdote, che sperimenta il senso della paternità spirituale.
I confessori lavorano per la formazione delle coscienze e del retto vivere privato e pubblico nella società. I testimoni raccontano come al tempo di Gaetano Errico fossero migliorati i costumi morali di Secondigliano.
“Dopo circa sei mesi dalla sua ordinazione sacerdotale il Card. Ruffo Scilla, arcivescovo di Napoli, gli impose di sentire le confessioni”. “Ebbe molti penitenti e in tutte le sere fino a notte avanzata confessava laici di ogni condizione ed anche sacerdoti”.
“Confessava tutti e vi era un gran concorso anche dai paesi vicini, anzi i forestieri erano più dei paesani”. “Confessava moltissimi, di ogni ceto di persone, senza mai negarsi e in tutte le ore del giorno e della notte, fin ad ora inoltrata, per dare soddisfazione agli uomini, fino a vedere consumato il mattone dove poggiava i piedi nella sacrestia.”
“Nel giovedì, che era libero dalla scuola, si recava a Napoli a confessare nell’ospedale degli Incurabili”. “Durante i colera del 1836 e 1854 confessava tutto il giorno ed anche di notte”
“Infermo continuava a confessare gli uomini nella sua stanza”.
“La mattina si metteva a confessare uomini e donne fino alle due o tre, quindi andava a casa per prendere un boccone, ritornava subito in chiesa per le confessioni fino a tarda sera, secondo il bisogno”. “Confessava di sera, delle volte fino a mezzanotte, per dare soddisfazione agli uomini, che di giorno lavoravano. Nelle ore del giorno confessava le donne”.
“Era zelantissimo ed indefesso nel ricevere le confessioni degli uomini e, quando giunse all’età prescritta, fu ugualmente fervoroso nel ricevere le confessioni delle donne”.
“Quasi tutto il paese si confessava da lui”.
 
 
“E non contento di accogliere tutti quelli che a lui si presentavano, andava anche in cerca di coloro che trascuravano di accostarsi al sacramento della penitenza. Quando poi si incontrava con loro per strada erano così soavi le sue maniere per attirarli a Dio che era impossibile resistergli, sicché tutti lo seguivano ed andavano volentieri a confessarsi”.
“Nel confessare era benigno e non faceva sconfidare nessun peccatore, che si avvicinava a lui, accogliendo tutti con carità e trattando da padre”.
“Usava carità e prudenza e non era né benigno né austero, di modo che i penitenti andavano con piacere ed anche i peccatori, allorché andavano da lui, non lo lasciavano più”.
“Era austero con se stesso, caritatevole e benigno con i penitenti, seguiva sempre la via dell’equità. Infatti, dava la comunione a certi penitenti, che forse a prima vista sembravano di non poterla meritare o perché il pensiero di poterla ricevere li potesse trattenere dal ricadere per qualche tempo nei soliti peccati o perché la grazia del Signore nel sacramento li avesse aiutati a migliorare”.
“Nei giudizi era giusto e santo, dedito alla benignità, adoperava maniere caritatevoli, parole dolci e toccanti, che penetravano il cuore”. “Era pieno di carità nel regolare le anime. Aveva bei modi per tirare dalla bocca i peccati e poi dava sentimenti tali che con poche parole li consolava e restituiva pace alla coscienza”. “Non era mai troppo austero con i suoi penitenti, ma affabile, caritatevole. Abbracciava tutti e per mano sua anche i più duri di cuore si erano convertiti.”
“Non si curava del freddo, pioggia, caldo, quando era chiamato per ascoltare le confessioni dei malati nelle case”. “Teneva una maniera tale da indurre a confessare tutti i peccati, minutamente e circostanziatamente, senza ritegno.”
“Non voleva sentire parole inutili, ma solo quelle che occorrevano dire. Non era troppo rigido o troppo largo, ma seguiva la via di mezzo”. “Era imitatore esattissimo di Sant’Alfonso, seguendone i principi, le massime e la carità. Seguiva, infatti, la teologia morale di Sant’Alfonso, le cui opere aveva sempre tra le mani”.
“Dava tanta confidenza e fiducia nella misericordia di Dio che bastava accostarsi a lui per prendere animo. Era instancabile nel confessare. Confessava di mattina, di giorno e di sera, fino a notte avanzata gli uomini né pensava a cibo ed a riposo, finché non avesse soddisfatto tutti, quantunque sofferente ad una gamba”.
“Non respingeva mai nessuno che si fosse presentato a lui per la confessione, benché alle volte si sentisse stanchissimo, ma invitava anche gli altri a confessarsi ed incontrandosi per via con alcuni che avevano trascurato di accostarsi al sacramento della penitenza, li invitava con buone maniere e dolcemente ad andare da lui.”
Infatti si racconta che “v’era un venditore di olio, tutto curioso, che puzzava orribilmente. Tutti lo respingevano. Egli non solo l’accoglieva per confessarlo, ma lo metteva sotto il suo mantello e con somma carità e pazienza ne ascoltava la confessione”.
“Confessava gli uomini e coloro che si presentavano a lui senza alcuna eccezione né di ricchi né di poveri nè di nobili o plebei e non respingeva alcuno, benché fosse affetto di tigna o esalasse cattivo odore, ma era solito accogliere, mettendo loro la mano sulla spalla, per farli avere maggiore fiducia”.
Nelle sue lettere ad un sacerdote della sua Congregazione, parlando della confessione, manifesta il suo pensiero su questo sacramento:
“L’amministrazione dei santi sacramenti la Maestà di Dio l’ha affidata agli uomini, perciò vuole che, dopo aver esercitato il ministero, non siate timoroso. Quindi, dopo che voi attendete allo studio per abilitarvi all’esercizio delle confessioni, non dovete avere alcun timore, ma ripetere con S. Pietro: Nel tuo nome getterò la rete”. (Lc. 5,5)
“Se vengono anime ripiene di gravi colpe, animatele a rialzarsi, datele confidenza, ditele che il Signore perdonerà tutte le colpe, se di cuore si pentono. Esse animate diranno tutte le loro miserie, manifesteranno le loro piaghe e voi, non trovandole nell’occasione, benché recidive o abituate, purché fermamente pentite, potete assolverle anche la prima volta.
I penitenti, come sono peccatori e come tali accusano le loro colpe, sono veri testimoni della loro coscienza e dei loro propositi di non peccare più, perciò, quando vedete che con animo risoluto e sincero accusano se stessi e vogliono prendere i mezzi per l’emendazione di una buona vita, dategli l’assoluzione.
Dio, che non vuole la morte del peccatore, è sempre più misericordioso di noi suoi ministri. Dunque, siate misericordioso quanto potete esserlo, perché troverete misericordia presso la Maestà di Dio.
Il tribunale della penitenza è un tribunale di perdono e non di condanna, perciò dal nostro tribunale parte perduto solo il figlio della perdizione., Quelli che portano peccati veniali, fate che si accusino la vita loro in generale, di quanto male hanno commesso con pensieri, parole ed opere, eccitateli al dolore di aver offeso Dio e così gli darete l’assoluzione.
Tranquillizzate l’anima vostra nell’amministrazione del sacramento della Penitenza, pensando che, quando vi mettete al confessionale, fate le veci di Dio nel perdonare e che, come le Spirito vi fa giudicare, è ben giudicato.
Non esaminate se siete stato lasso o rigido, ma rimanete sereno, perché Sua Divina Maestà prende come buono quello che voi avete fatto.
Siate di buon animo, perché il timore spesso è uno stratagemma del diavolo per tentare voi ed impedire la salute delle anime”.
Nel tempo dei cambiamenti sociali e politici, don Gaetano sceglie il confessionale per cambiare le coscienze, convinto che il cambiamento vero inizi con la loro formazione.
Il motivo, per il quale i penitenti lo cercano, senza dargli tregua, è perché egli parla del “Cuore” con il cuore al cuore degli uomini. Ed il linguaggio del cuore, noto a tutti gli uomini, non lascia indifferenti.
Non usa parole difficili, non giudica, ma dà amore, che si legge nel suo sguardo profondo e sereno, per cui apre alla fiducia ed alla confidenza.
È sempre disponibile e ciò evita l’imbarazzo a chi lo cerca, non dovendo bussare, perché è lì ad attendere, a qualunque ora.
Gaetano Errico è tutto ciò che il Papa chiede ai pastori di anime, quando li invita a far valorizzare la confessione, armandosi “di maggior fiducia, creatività e perseveranza”, anche di fronte a crisi temporanee, fiduciosi che il cuore dell’uomo solo nell’incontro con il Cuore di Cristo possa trovare l’amore vero e puro, essendone la fonte.
Gaetano Errico ha dedicato tanto tempo al ministero della confessione, perché ha imparato dal Vangelo che la vita nuova dell’uomo inizia dall’incontro con Cristo, che dice: “Ti sono perdonati i tuoi peccati. Va’ e d’ora in poi non peccare più”. (cfr. Gv. 8,11)
E la confessione per Gaetano Errico è l’incontro di due cuori: quello di Cristo, che vuole dare amore, e quello dell’uomo che lo cerca.