Gaetano Errico ha la sensibilità dei santi per i bisogni materiali dei fratelli più sfortunati.
Formatosi alla scuola dei Sacri Cuori, non riesce a passare oltre e si ferma a tutti gli angoli dell’emarginazione, per prendersi cura di ogni malcapitato, che incontra sulla sua via.
Si potrebbero raccontare tanti aspetti della sua carità in un linguaggio moderno, ma è preferibile lasciare la parola alle testimonianze di coloro che quella carità l’hanno sperimentata e vissuta.
Quando viveva ancora in famiglia, “imponeva di portare il cibo agli infermi poveri e, qualora a tavola si distribuiva il cibo, voleva che prima fosse tolto quello che doveva darsi ai poveri “.
“Venendo a conoscenza di qualche infermo bisognoso o di qualche povero abbandonato in qualche pagliaio nelle vicine campagne, subito ne avvertiva la mamma, perché avesse preso lenzuola, camicie e biancheria e glielo avesse portato e lo stesso insinuava a fare anche alle famiglie agiate del paese”.
“Un giorno, avendo saputo che una giovane, gravemente inferma per male di tisi, dai genitori e dal padrone di casa era stata messa in un pagliaio, per paura di infezione, chiese alla madre ed alla sorella di portarle lenzuola, camicie e biancheria, mentre egli provvide al vitto giornaliero fino alla morte”.
“Alle persone bisognose pagava del suo la pigione della casa”.
“Andava a chiamare personalmente il medico per gli infermi poveri e pagava egli stesso le medicine”.
“Ogni giovedì, essendo il suo giorno libero dalla scuola, andava a Napoli per confessare e soccorrere i carcerati nelle carceri della Vicaria e si fece iscrivere alla congregazione dei Bianchi per assistere i condannati a morte.”
“Soccorreva ed aiutava le ragazze pericolanti per non farle cadere in braccio al male affare e se conosceva qualcuna già caduta, procurava di aiutarla, offrendole i mezzi necessari: ricovero, fatica, servizio senza pericolo, affinché avesse potuto guadagnarsi da mangiare e vestire e se ciò non bastava, aggiungeva del suo”.
” Accorreva per assistere i malati anche nelle malattie più schifose sia in ospedale sia nelle case”.
“Si distinse per la carità verso gli infermi. Non vi fu nessuno tra gli infermi del nostro paese di Secondigliano che non avesse chiamato presso di sé il Servo di Dio. Egli non si negò mai ed accorreva subito presso tutti, senza distinzioni, li raccomandava al medico, perché fossero ben curati, e faceva quanto era in suo possesso per poterli sollevare”.
“Chiamato in fretta accorreva, siccome si trovava, per qualsiasi persona, anzi accorreva più dal povero che dal ricco ed in qualunque luogo, nei bassi e in case a piano terra. Nel soccorrere i poveri, trovava tutto il suo piacere”.
“Assisteva i moribondi, dai quali sempre accorreva, da qualunque malattia fossero affetti e se gli altri sacerdoti temevano di infettarsi, egli non temeva nulla. Vi passava le intere notti, senza mai stancarsi. Alle volte vicino ad un moribondo passava anche sette otto giorni”.
“Per l’assistenza dei moribondi accorreva sempre, di giorno e di notte, di mattina e di sera, era instancabile e bastava che comparisse vicino al letto dell’infermo per ristorarlo e consolarlo”.
“Nel colera del 1836 ed in quello del 1854, per richiamare il popolo a penitenza, oltre alla disciplina con la quale si flagellava fortemente, si prestava per tutti quelli che lo chiamavano nel paese giorno e notte, privandosi del sonno, ed anche accorreva volentieri negli altri paesi vicini per assistere coloro che erano stati colpiti da tale malattia”.
“Per soccorrere qualcuno, senza farsene accorgere, in chiesa fingeva di dare il resto a qualche piccola moneta, messa nel cestino durante la questua”.
“Con una mano riceveva e con un’altra mano distribuiva ai poveretti e quando non aveva che dare rispondeva con garbo: “niente ho e niente vi do” e quelli andavano via allegri, perché erano certi che fosse la verità.
“Spesso dava ai poveri le sue camicie e finanche le sue scarpe”.
“Fino al carcere faceva arrivare le sue elemosine”.
 
“Ordinava al fratello laico incaricato della cucina di non negare mai cosa ai poveri, anzi di preparare per loro un pasto a parte. Ai poveri che, per vergogna o per impotenza, non potevano venire al convento, inviava a casa il pranzo”.
“A chi in comunità si lamentava per l’abbondanza delle elemosine, con il rischio che la comunità potesse rimanere senza nulla, egli rispondeva che quella era roba dei poveri”.
“Nella casa religiosa ogni giorno dispensava pane e minestra e quando non aveva del suo, girava per il paese per raccogliere per i poveri”.
“Venivano a lui anche i poveri vergognosi, come signori decaduti o qualche prete povero. Per loro aveva una stanza riservata o li presentava alla comunità, come suoi amici”.
“Alla fine della settimana dava ai poveri i soldi per pagare i debiti fatti durante la settimana per mangiare”.
“Procurava lenzuola, letti, materassi alle famiglie bisognose, perché evitassero la promiscuità nel dormire “.
“Forniva di zappe i contadini, per consentire loro di lavorare e guadagnare”.
“Sapendo di qualche giovinetta bisognosa e senza mezzi di sussistenza, era solito dare, come in prestito, qualche somma di denaro, affinché potesse comprare il telaio ed il cotone, per tessere la felpa, e, lavorando e lucrando, fare un capitaluccio e poi, a suo tempo, essendosi avviata alquanto bene, restituire la somma ricevuta, senza alcun interesse”.
“Qualora in una famiglia v’erano discordie o litigi, accorreva subito per mettervi la pace e se accadevano risse, trovandosi a passare, subito interveniva per portare la pace”.
“Si impegnava a togliere i disordini peccaminosi nelle famiglie, a riconciliare marito e moglie e genitori e figli”. “S’intrometteva nelle questioni e discordie di famiglie e riusciva a conciliare la pace e la concordia, per cui ogni giorno non mancavano persone che ricorrevano a lui per tale ufficio. Gli stessi parroci mandavano da lui le persone in discordia tra loro, allorché essi non ci riuscivano e tutti si rappacificavano per mezzo del Servo di Dio. Cosicché spesso i parroci venivano alla casa religiosa per rilevarlo e portarlo in qualche casa ed in tutto egli riusciva”, per cui, ammirati, esclamavano: “Don Gaetano è veramente l’uomo della carità!”
E i poveri, alla sua morte, ripetevano: “É morto chi pensava a noi”.
Le testimonianze parlano più delle parole, alle quali, spesso, facciamo dire quello che vogliamo.
La testimonianza, invece, è la vita raccontata, che impone ascolto, rispetto e riflessione.
Concludo con la testimonianza di Cosma Miranda, che gli fu vicino molti anni: “La vita del Servo di Dio si può dire, in una sola parola, che fu un continuo esercizio della carità verso il prossimo. Egli in tutte le ore ed in tutti i giorni fu sempre occupato a predicare, confessare, consigliare, ammonire e mettere pace nelle famiglie. Egli non lasciò alcuna fatica, per il bene del prossimo, specialmente se ammalato. In quanto, poi, a carità corporale posso dire che tutto quello che aveva era dei poveri e nessuno mai si ritirava da lui a mani vuote”.
Gaetano Errico non lascia opere sociali, come altri fondatori di Istituti religiosi, suoi contemporanei, ma certamente non gli mancano la sensibilità e l’intuizione dei santi per affrontare i problemi sociali del suo tempo e della sua gente, mosso dalla carità, che gli cresce dentro ogni giorno nella meditazione dell’amore del Cuore di Cristo, che per l’uomo non esita a farsi uomo ed a morire, come segno massimo della sua solidarietà.