di Antonio Palmiero
La Chiesa primitiva, così com’è descritta dai documenti del NT, è una Chiesa che evangelizza con entusiasmo ed efficacia. Ma evangelizzare – al tempo di Gaetano Errico o anche oggi – è lo stesso che al tempo degli Atti degli Apostoli? Sì e no.
Sì, nel senso che identico è l’oggetto del messaggio e identici sono i bisogni del cuore umano, identica è la sorgente che è lo Spirito Santo e identici i grandi mezzi dell’annuncio e della testimonianza.
No, nel senso che le condizioni esterne dell’annuncio mutano, e occorre tenerne conto. Per questo oggi si parla di “nuova” evangelizzazione.
Con il termine “evangelizzazione” intendiamo qui sia il primo annuncio del Vangelo fatto a chi non crede, sia quell’ulteriore annuncio che è sempre connesso con ogni atto di riproposizione del messaggio evangelico (predicazione, catechesi, liturgia, …).
Questa evctngelizzazione può essere fatta in forma esplicita (attraverso l’annuncio, la spiegazione verbale, la celebrazione, … ) o in forma implicita di una vita trasformata dal Vangelo (per es. con la testimonianza della carità, del perdono, della solidarietà, … ).
Evangelizzare non significa necessariamente fare cristiani tutti gli uomini, né far tornare in chiesa tutti i battezzati e in particolare quelli
che ci andavano e hanno smesso di andarci.
Gesù ha evangelizzato bene anche a Nazareth o a Betsaida o a Corazin dove la sua parola non è stata accolta (Mc 6,6; Lc 10,13).
Neppure significa ottenere dei risultati immediati di conversione e di cambiamento dei cuori.
Evangelizzare significa anzitutto promulgare la buona notizia con fatti e parole e attuare l’annuncio così che sia possibile, a chiunque lo desidera e abbia volontà, poter cogliere la buona notizia nelle sue forme più genuine ed autentiche, e quindi approfondirla e, se lo decide accoglierla e viverla.
A una evangelizzazione delle “persone” si accompagna anche una evangelizzazione delle “culture”, che è l’impregnazione propositiva e critica che la vita secondo il Vangelo attua nella mentalità e nei modi di vivere della gente. Al termine “evangelizzazione” possiamo aggiungere quello di “missione”. Questo significa di per sé mandato, invio. È il fatto di essere mandati da un altro per un compito.
Dio ha mandato suo figlio nel mondo perché il mondo abbia salvezza e vita (Gv 3,16-17).
Gli Apostoli sono mandati da Gesù a tutti gli uomini per annunciare il Vangelo (Mt 28,19; Mc 16,5). La stessa parola designa anche il compito affidato. La Chiesa ha la missione di annunciare il Vangelo, di custodirlo nei cuori e di farlo crescere.
Mentre il primo annuncio è più propriamente la “evangelizzazione”, la custodia e il far crescere fanno parte dell’azione o missione pastorale della Chiesa.
La novità perenne dell’evangelizzazione
Quali i valori perenni dell’evangelizzazione?
L’evangelizzazione ha un duplice aspetto: negativo e positivo.
In negativo, evangelizzare è “salvare dal male”: tirare fuori dal non senso, dalla frustrazione e dalla noia, dalla disperazione, dal disprezzo della vita, dalla incapacità di amare, dalla paura del dolore e della morte.
È dare risposta alle invocazioni più profonde di ogni coscienza umana. Evangelizzare è gridare la speranza in mezzo a grida di disperazione.
In positivo, evangelizzare è comunicare il “Vangelo”, la buona notizia su Gesù: la buona notizia che Dio ci ama davvero, tutti e ciascuno, e che Gesù è morto e risorto per la nostra salvezza per liberarci dal peccato e dal male.
Evangelizzare non è soltanto comunicare verbalmente la buona notizia, ma comunicare vita, cioè far sperimentare nella concretezza della vita la “buona notizia”.
L’evangelizzare suppone che I’evangelizzatore abbia assimilato nel cuore la realtà del “Vangelo”, la sua ricchezza, la sua gioia, la pienezza di orizzonti che esso apre, il senso della vita che esso fa scoprire al di là di tutte le delusioni e le sofferenze, al di là della morte. In concreto, non si può “evangelizzare senza Vangelo”.
Se e come ha evangelizzato Gaetano Errico
L’evangelizzazione – come primo annuncio del Vangelo fatto a chi non crede – è presente nel pensiero di Gaetano Errico. Poter lavorare in terra di missione è il suo sogno. Fin da giovane. È il suo sogno e tale rimane, perché, per circostanze indipendenti dalla sua volontà, non riesce a realizzarlo.
In lui, però, non vengono mai meno né la consapevolezza di doverlo realizzare, né l’ansia di poterlo realizzare. “Finché mio fratello visse in famiglia – così testimonia sua sorella Rosalia – spesso ci parlava del suo desiderio di andare a predicare tra gli infedeli ai quali mancava il dono della fede. E per questo era anche disposto a spargere il sangue”.
Appena fonda la Congregazione chiede l’aggregazione a “Propaganda Fide”, perché essa (la Congregazione) possa assolvere, in tutta la sua estensione, l’opera delle Missioni anche nelle parti degli infedeli”. (Nota: “Propaganda Fide” è la Congregazione della Chiesa da cui dipendono, ancora oggi, tutti i territori considerati, sotto l’aspetto religioso, “terra di missione”. Oggi la Congregazione di “Propaganda Fide” si chiama “Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli”).
“Veder costituita e basata la Congregazione in queste nostre contrade per lasciare un Superiore e partire per le Missioni presso gli infedeli”: è un’espressione che spesso affiora sulle sue labbra.
Nel 1855, accetta senza esitazione la proposta, pervenutagli da “Propaganda Fide”, di “una missione assai importante nel Regno di Angola e Congo”.
Finché vive, resta in attesa di un segnale da Roma per la partenza, che è sempre rimandata a causa della situazione politica che non consente l’ingresso di missionari nel Paese africano.
L’evangelizzazione – in forma esplicita (attraverso l’annuncio) e in forma implicita (attraverso la testimonianza personale, la testimonianza della carità, del perdono, della solidarietà, …) nell’ambiente “cristiano” in cui vive – è quella che Gaetano Errico vive e pratica con impegno
e senza soste. La semplice elencazione dei “fatti” che provano il suo impegno porterebbe via molte pagine.
Per la conoscenza di questi “fatti”, mi rimetto alla lettura di qualche testo, specie quello del P. Giuseppe Russo: “Gaetano Errico, profeta dei tempi nuovi”.
Sinteticamente, possiamo dire che Gaetano Errico ha evangelizzato:
1 per proclamazione: è il modo di Gesù che percorse le strade della Palestina “predicando il Vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,14-15). La proclamazione non e però limitata alle occasioni pubbliche. Può avvenire anche nel dialogo fraterno come quello di Gesù con la Samaritana (Gv 4). Gaetano Errico evangelizza soprattutto attraverso l’annuncio, ma anche con il dialogo, la direzione spirituale, la corrispondenza, …
2 per convocazione: è l’andare a chiamare tutti al banchetto, come fanno i servi della parabola: “Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamate alle nozze” (Mt 22,9). E Gaetano Errico convoca, chiama, invita, va per le strade….;
3 per irradiazione: come la lampada sul candeliere o la città sul monte “perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Gaetano Errico irradia il Vangelo con la sua esemplare condotta di vita e con il servizio della carità fraterna, concreta, fattiva, non episodica, disinteressata, discreta,… L’amore per il più debole è il solo lato “debole” della sua carità;
4 per attrazione: è la conseguenza di quanto detto sopra. La proclamazione, la convocazione e l’irradiazione evangelicamente vissute e attuate non possono non “attrarre”. Succede ciò che già era successo per la prima comunità di Gerusalemme, che, anche senza inviare missionari, vide accorrere “la folla dalle città vicine a Gerusalemme” (Atti 5,16).
La persona e la presenza di Gaetano Errico attraggono come una calamita. C’é qualcuno che, volutamente, lo sfugge, perché sa che non potrebbe resistere alla sua attrattiva.
Alcune conclusioni
1. L’evangelizzazione, prima di caratterizzarsi per le opere esteriori, sì esplica nel rendere presente al mondo Cristo stesso mediante la testimonianza personale. “Parlare” con la vita viene prima del “parlare” con le parole. L’essere segno precede il servizio.
2. L’evangelizzatore però non si ferma solo all’essere, ma attraverso l’agire manifesta gli aspetti umanizzanti dell’agire di Cristo per l’uomo.
3. Gaetano Errico ha vissuto intensamente la vita apostolica. Si è imposto ed è stato fedele a un ritmo di lavoro mozzafiato. Egli, però non è evangelizzatore perché, esternamente, lo si vede sempre in movimento, ha sempre tante cose da fare e, nei fatti, fa tante cose.
La verità è un’altra ed è questa: Gaetano Errico è evangelizzatore perché è un contemplativo in azione. Il contemplativo in azione è colui che vede Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio.
4. Non c’è dubbio, e ciò può sembrare un controsenso, che una vita attiva e operosa ha bisogno della misura massima della spiritualità. Solo la (vera) contemplazione del Mistero di Dio può investire l’intero essere del contemplante e impegnarlo con tutto se stesso per il Regno di Dio. Diversamente, prima o poi, affiorano i limiti umani che creano ritardi, ostacoli, rifiuti, rinunce, divisioni, chiusure, riserve, esclusioni, partiti, fazioni, clan, simpatie, antipatie, invidie, gelosie, …
È la contemplazione del Mistero di Dio a rendere Gaeatano Errico un uomo di azione. Perché é lo Spirito di Dio che lo rende libero di sé e da sé, povero di cuore, pronto ad obbedire, amabile con tutti, fraterno con tutto e tutti, generoso, appassionato, coraggioso. Con quel “caratterino” che si ritrovava (bilioso e igneo, cioé collerico e focoso) chi sa cosa avrebbe combinato senza una profonda esperienza di Dio.
5. Oggi non c’è più Gaetano Errico. Ci siamo voi e io. Essere, come lui, voce profetica: é l’invito che ci viene rivolto.
Siamo un seme e nessun seme vede mai il fiore. Questa verità non ci abbatta, non ci scoraggi, ci sproni, invece, ci provochi e ci entusiasmi. Da qualche parte, un giorno, il seme fiorirà. E, quel fiore, sicuramente: renderà più bello un angolo di terra, ridarà un sorriso a chi é triste, asciugherà qualche lacrima, farà rifiorire qualche speranza, renderà più accogliente qualche cuore… sarà il sorriso di Dio per il viandante incerto o smarrito.
E per il seme, che ha accettato di diventare sorriso di Dio, c’è la certezza di un dono: godere – definitivamente e per sempre – del sorriso di Dio.
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