Abbiamo parlato in queste sere diffusamente del progetto di Dio, fissando lo sguardo su Maria Vergine, che lo realizza pienamente, ristabilendo quel rapporto con Dio Padre e creatore, che il primo uomo aveva interrotto per mancanza di fiducia in lui che per amore e solo per amore gli aveva detto di non mangiare dell’albero ch’era nel mezzo del giardino. Aveva pensato di diventare dio e invece si scoprì nudo e pieno di vergogna. Per cui si nasconde alla vista di Dio e si fece un vestito di foglie. Parlare del progetto divino non è una accademia, ma un impegno a far sì che la volontà del Padre si compia. Difficile per quelli che non gli credono, ma possibile per quanti si fidano di Lui. Credo che la crisi d’oggi sia essenzialmente crisi di Dio. I fautori del relativismo hanno capito che, tolto Dio, tutti gli altri valori perdono di significato. E così, fatta cadere la speranza, rimane solo l’interrogativo e nessuna certezza. Infatti la perdita di punti fermi genera incertezza, che porta all’insicurezza e l’insicurezza è capace anche di armare la mano di una persona ormai diventata debole e indifesa. Non per niente stanno aumentando i suicidi specialmente fra i giovanissimi. La stabilità mentale e psicologica è frutto di una base solida. Il Papa nel documento inviato ai giovani per la prossima giornata mondiale a Madrid del 2011 non teorizza sul posto fisso né tanto meno nega il diritto sacrosanto al lavoro, ma vuole semplicemente dire ai giovani che possono anche avere il posto fisso, ma se non hanno valori veri e certezze assolute rischiano di perdersi in un mondo sempre più amante dell’immagine, dell’effimero e dell’apparire. Il Papa ricorda come nella sua giovinezza abbia trovato nella fede e nel vangelo i punti fermi per reagire ad un regime e a una cultura totalitaria. I valori del vangelo tendono a formare l’uomo e hanno la forza di orientarne la vita. Il posto fisso è un diritto e non un valore. Il valore riguarda l’uomo e non ciò che l’uomo fa o può fare. Il valore del vangelo si interessa dell’uomo totale e non del particolare, dell’eterno e non del transitorio. Gesù guarisce i corpi, ma gli preme la salvezza eterna. Parla dell’oggi, ma nella prospettiva dell’eternità. C’è un oggi che passa e un oggi che dura. Se l’oggi temporaneo non conquista quell’eterno, serve poco all’uomo? La dimensione proposta dal Papa non guarda un aspetto dell’uomo, la sua interezza. Purtroppo l’uomo fa difficoltà ad andare oltre l’oggi che vede e che tocca. Ed è questo che gli genera incertezza e insicurezza. Raffaele Mennella, di cui il 15 settembre celebriamo il 112° anniversario dalla morte, è un giovane che fa di Dio il suo punto fermo e della fiducia in Lui la sua forza. Infatti non si smarrisce davanti alla notizia di avere una malattia fatale. Al medico che gli dice: “Figlio mio, la malattia è grave. Se il Signore ti volesse in cielo, ne avresti piacere?” Queste parole che potrebbero far vacillare le gambe e tremare i polsi ad ogni comune mortale non scompongono Raffaele. Anzi dalla risposta sembra quasi che gli abbiano dato una buona notizia. Infatti risponde: “Eccomi”. La morte per lui non segna la fine, ma semplicemente un passaggio; è una porta che gli consente di entrare nella realtà da lui sempre sperata e attesa, il paradiso. All’ “eccomi”, poi, dal sapore mariano, aggiunge con decisione: “Sono prontissimo a fare in tutto e per tutto la divina volontà”. Chi sa quante volte aveva meditato la risposta di Maria per cui la ripete veloce, pronto e convinto. Lasciare la terra, la casa, gli amici, i genitori, i confratelli per lui non è un dramma, perché sono un suo grande bene, ma non il valore che fonda tutta la sua esistenza. Il valore assoluto è Dio, per cui davanti a lui non c’è l’oscurità dell’ incerto, ma la luce della verità. Scrive ai genitori parole di una grande misticità. Parole che sanno dire coloro per i quali Dio non è una ricerca, ma una certezza: “Carissimi genitori, mi trovo gravemente ammalato. Bisogna uniformarsi in tutto e per tutto alla santissima volontà di Dio”. Sorprende che un giovane di 21 anni parli della sua morte con tanta naturalezza, ma ciò è possibile perché egli non filosofa sulle cose, ma le vive e crede veramente. La cognata un giorno, notato un suo lieve miglioramento, gli dice: “Raffaele, ti vedo meglio, saresti contento di guarire?” Che bell’augurio! Eppure Raffaele le risponde: “Zitta, non ripeterlo, oggi sono preparato e mi salvo, domani non solo”. “Mi salvo”, egli non parla della salvezza del corpo, ma di quell’eterna, che alla ai cultori del relativismo interessa poco o niente. Raffaele ha delle certezze che neanche la morte riesce a scalfire, anzi le rafforza. Per coloro che credono in Dio la morte, la salvezza, l’aldilà sono punti fermi e non possibilità.
Il debole del giovane d’oggi sembra l’instabilità. Si stanca subito. Cerca sempre novità. Ripetere non lo stimola. Sempre la stessa cosa? Che noia! È la loro continua lamentela. Quello di ieri, oggi è già vecchio. Questo forse è dovuto a quella cultura relativistica per la quale tutto si equivale e non esiste nessuna verità, per cui non ti puoi fidare di niente e di nessuno. Non c’è alcun punto di riferimento assoluto. Chi si adegua a questa mentalità diventa un conformista e si sente smarrito ed instabile. Raffaele Mennella sul letto di morte ripete che la sua grande gioia è l’osservanza della Regola, che non è di un giorno, ma di tutti i giorni. La straordinarietà di questo giovane religioso è proprio il fare bene ogni giorno il suo dovere, sempre la stessa cosa. È perseverando che si cresce, al contrario si rimane bambini.
Per questo Benedetto XVI dice che non dobbiamo aver paura della croce perché essa non è la negazione della vita, ma la sorgente della vita eterna. Educa e forma. Sembra di leggere la recensione al libro della vita di Raffaele.
Il relativismo sta formando un mondo in cui “prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza d’amore, di gioia e di speranza”. Se vogliamo contrastare la sua avanzata dobbiamo impegnarci ad accogliere la presenza di Dio in noi, nelle famiglie e nella società per costruire la civiltà dell’amore. E in questo grande è la responsabilità degli adulti di trasmettere alle nuove generazioni punti fermi, per aiutarle a fare scelte giuste. Dove i giovani possono trovare la capacità di mettere da parte le proprie realizzazioni per fare spazio alla volontà di Dio? Il Papa suggerisce di coltivare un “dialogo personale con Gesù”, di imporsi ad ascoltarlo e di appoggiarsi alla fede dei propri cari. L’incontro con Cristo nella preghiera e nella parola hanno la capacità di formare ad affrontare “con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi e anche le delusioni e le sconfitte”. Raffaele Mennella è il giovane che sempre che aveva un po’ di tempo libero correva come un cervo assetato alla fonte del Tabernacolo ed ivi vi si tratteneva in ginocchio, tutto assorto nella divina grandezza.
A quanti hanno responsabilità educativa e formativa vorrei dire che giovani come Mennella non sono frutti di pannolini caldi, ma di educazione all’impegno, al sacrificio, alle rinunzie, alle battaglie combattute prima con se stessi per tirare fuori l’immagine stampata da Dio e poi con il mondo che circonda per non lasciarsi sedurre da mode culturali che hanno il loro tempo. Non è di idee che i giovani hanno bisogno, ma di verità. Raffaele Mennella si forma alla scuola di Maria Vergine, sostando con lei ai piedi della croce, per imparare da lei il vero senso della vita e dell’amore e aderirci con tutte le sue forze.
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