Festeggiamo, oggi, Maria Vergine, addolorata, ai piedi della Croce. È strano far festa, ci dicono, per il dolore di una persona. Per il dolore si piange e non si ride. Se il dolore è negatività, limite, povertà, umiliazione, sofferenza, disperazione, perché ieri avete esaltato la Croce ed oggi Colei che sta sotto la Croce? Perché con Cristo la croce è diventata segno di salvezza, mezzo di vittoria e la morte inizio di vita nuova. “Si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha sopraelevato e gli dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome, affinché nel Nome di Gesù ogni ginocchio di celesti, di terrestri e di infernali si pieghi e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre”(Fil. 2, 8-9). La croce era un supplizio riservato agli schiavi. Dopo Cristo la croce ci dice che qualunque sia la situazione difficile e dolorosa in cui possiamo trovarci, in essa troveremo Cristo, l’abbassato, l’umiliato, a compatire con noi. La croce diventa così il massimo segno dell’amore di Dio per noi: “Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”. Cristo la croce non la subisce, ma la vive con amore, per cui non è più umiliazione, ma vittoria; non è più abbassamento, ma esaltazione. L’uomo della croce, superando la prova della croce, finalmente trova la forza di gridare in faccia alla morte: “Morte, dov’è la tua vittoria!”. Lo dice Paolo: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”.(Fil. 2,9). Ai piedi della Croce i santi hanno capito che essa apre alla vita. Perciò Raffaele Mennella, giovanissimo, al medico, che gli dice: “Figlio mio, la malattia è grave. Se il Signore ti volesse in cielo, ne avresti piacere?”, risponde col sorriso sulle labbra: “Eccomi! Sono prontissimo a fare in tutto e per tutto la divina volontà”. Ai piedi della croce ha capito che essa apre alla vita. Ma quella vera. Testimoniando così che l’eternità è un valore, per il quale bisogna essere pronti a sacrificare tutto, anche la vita. A Raffaele il compromesso non appartiene, il presente con i suoi idoli non l’incanta. Il suo sguardo è rivolto al futuro. Raffaele l’aveva imparato dal Beato, che scrive: “Adorate le disposizioni divine con la faccia per terra, lodatelo, beneditelo, amatelo e non pensate più a quello che vi propone il nemico dell’uomo, perché il Signore penserà a farvi felice”. Se c’è una cosa che lo seduce è proprio quella felicità. Raffaele è il giovane che Benedetto XVI continuamente ed anche a Parigi ha cercato di indicare ai nostri giovani,tentati dai mille idoli,che il mondo non manca di proporre.
C’è un altro valore che dobbiamo imparare ai piedi della croce: la solidarietà. Maria non è crocefissa, ma soffre perché l’altro è crocefisso. Il dolore del Figlio è il suo dolore. Il saperlo innocente le aumenta il dolore, il saperlo Dio, la pietrifica, non riuscendo a pensare che la cattiveria dell’uomo abbia potuto tanto. “Stava ai piedi croce”. Sembra che Giovanni abbia voluto con queste poche parole innalzarle un monumento, destinato a durare per sempre, quasi a ripetere nei secoli: “O voi che passate, dite se c’è un dolore simile al mio”. Non chiede compassione per sé. Chiede amore per l’Altro. Chiede di non crocifiggerlo ancora con il peccato. Chi sosta con Maria ai piedi della croce, impara a farsi solidali con chi soffre, a fare suo il dolore dell’altro, a soffrire per l’altro, a fermarsi ai piedi della croce dei fratelli e delle sorelle che soffrono nel corpo, impara a capire e a soffrire per il dramma delle famiglie in crisi per mancanza di lavoro, per le difficoltà economiche, l’emarginazione dei figli, l’incompatibilità nella coppia, la difficoltà del vivere insieme. Misericordia è anche questa: partecipare con il cuore alle difficoltà degli altri. Facile il giudizio, difficile farsi prossimo, essere misericordiosi. Paolo lo scrive ai Romani: “Prendete parte alla gioia di chi gioisce, al pianto di chi piange”.(Rm.15,15) Molti preferiscono non vedere per non soffrire, non sapere per non lasciarsi coinvolgere, non immischiarsi per non subire. Preferiscono stare da parte. Maria Vergine che in tutta la vita pubblica di Gesù è stata da parte, ora sta ai piedi della croce. Quanto è dolce e consolante la presenza discreta dell’altro quando si soffre. Anche il dolore sembra che diminuisca. Che forza dà quella mano che stringe la tua. Nel dolore non si può delegare un altro a stare vicino. Non basta la vicinanza fisica, il servizio reso, si cerca l’affetto. A Maria ai piedi della croce non è consentito di fare qualcosa. Ma credo che sia bastato a Gesù lo sguardo amorevole della Madre per sentirsi consolato nella morte. Ognuno desidera la presenza di uno che ti vuole bene e che soffre, perché tu soffri. Gesù nell’orto cerca una compagnia che non trova e il Padre gli manda un angelo; ai piedi della croce gli manda Maria. Quando si soffre più di persone che ti accudiscono c’è bisogno di persone che ti amano. Questo l’aveva capito Gaetano Errico ed anche Raffaele Mennella. I suoi compagni testimoniano che “ammalandosi un suo compagno erano quasi incredibili le cure che gli prestava. Spesso lo visitava, gli somministrava i farmaci, lo sostituiva nei servizi più umili. Nei casi più gravi si alzava anche di notte”. Un suo compagno d’infanzia racconta che quest’amore per i malati era presenta nel Servo di Dio anche quando viveva a casa sua: “Ogni domenica andava a visitare i malati nell’ospedale, prestandosi in ogni modo per poter essere utile. Con grande amorevolezza li serviva anche in quelle cose in cui trova più ripugnanza l’umana natura. Li istruiva nelle cose della religione, recitava con loro il santo rosario e li confortava con sante massime a sopportare pazientemente l’infermità e faceva loro dei regali di frutta fresca, di biscotti e d’altro, che aveva comprato con i suoi risparmi.” La cura per i malati è un messaggio che Maria Vergine Addolorata dona alle nostre famiglie, che prima sono diventate povere di figli ed ora rischiano di diventare anche povere d’amore. Maria ai piedi della Croce non è sola, con lei vi sono i discepoli. Raffaele Mennella, quando stava per morire il 15 settembre 1898, non era solo. Erano le tredici e trenta. Tutti erano andati via per accudire le loro famiglie. Egli è solo con la mamma. Si fissano. La mamma ha gli occhi pieni di lacrime. Raffaele, allora, gira la testa dall’altra parte, dov’è l’immagine di Maria Vergine. Si addormenta per sempre confortato e consolato dal dolce sguardo delle due madri, Maria Vergine ed Annunziata. Aveva sostato tante volte ai piedi della croce, per cui, ora morire a 21 anni non gli ha fatto paura. Una mattina la cognata gli disse: “Vedo che ti senti meglio, saresti contento di guarire?” Egli la rimprovera dolcemente e le disse: “Zitta. Non ripeterlo. Oggi sono preparato e mi salvo, domani non lo so”. Raffaele traeva la forza dalla contemplazione della ferita del Cuore di Gesù, come testimonia il suo maestro di noviziato: “Spesso meditava le pene ed i dolori di nostro Signore”. È l’altro valore che oggi Raffaele ci invita a rivalutare: la meditazione, la contemplazione, il silenzio. Per andare oltre, per imparare a leggere il mistero, per scoprire che oltre la croce c’è la vita e la resurrezione, dobbiamo fare silenzio, meditare. Viviamo in un mondo di superficialità, di banalità, di rumori e di chiasso, per il quale conta solo l’effimero, il relativo, il superficiale, l’apparire. Dove spesso si ragiona a fior di pelle. Siamo tutti a caccia della notorietà, dell’apparire. Ci sentiamo tutti un poco attori, per cui la ricerca dello schermo. Maria Vergine “conservava tutte queste cose nel cuore” (Lc.2,51). Il silenzio ci fa paura perché obbliga a pensare. Spesso la soluzione di tanti problemi sarebbe alla nostra portata solo se fossimo capaci di fare un poco di silenzio.
Ai piedi della croce bisogna rimanere, perché scriveva Gaetano Errico “è sulla sommità del calvario, dove si mira spirare Cristo crocifisso, senza alcun soccorso umano e divino, dove si vede soffrire il Figlio e la Madre, che si conosce con sicurezza a quanto giunse l’amore del Cuore di Maria”. Invece la tentazione è di scappare, perché la croce ci fa paura. È scomoda. Comporta rinunce e sacrifici, quando invece la trasgressività ci fa essere al passo con la moda. Decidere di farsi discepolo significa guardare all’essenziale, non accontentarsi dell’effimero, accettare anche le risate per il solo fatto di essere discepolo di Gesù. Raffaele Mennella su letto di morte non cede all’attacco del maligno, ma con calma gli risponde: “La mia gioia è morire martire dell’osservanza della nostra Regola”. Qualche volta è scomodo anche mostrare di appartenere a Colui che sta in croce: “anche costui è uno di loro”. La paura ci fa nascondere. Abbiamo paura di testimoniare che siamo suoi discepoli per non finire anche noi sulla croce della derisione. Allora ci nascondiamo tra la gente. La salvezza è condividere la sorte della croce, ben sapendo che in essa e solo in essa ci sono la vita, la vittoria la resurrezione, la speranza. La speranza del nuovo è nella croce, perché sulla croce muore l’uomo del peccato è nasce il nuovo fatto secondo Dio. E Dio è la vita dell’uomo. Fuori di Dio e contro Dio l’uomo trova la morte, con Lui vive. È la catechesi quotidiana di Benedetto XVI, che non si stanca di richiamare l’uomo a ritornare a Dio per la sua salvezza.
L’augurio che dopo la glorificazione del Beato possa esserci anche quella del nostro “Rafiluccio”, che rimane un modello valido da proporre ai nostri giovani per l’adempimento dei loro impegni cristiani. Nella vita di Raffaele non troviamo eventi particolari, ma la perseveranza e la costanza nel compimento del suo dovere lo rendono veramente straordinario e lo impongono come modello per i giovani e non solo.
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