L’intensa attività apostolica svolta da Gaetano attraverso i ministeri della predicazione e della riconciliazione, non lo distoglie dal rispondere alle molte istanze che gli giungono specialmente dai più poveri, bisognosi d’un sussidio, una minestra calda, una medicina o un servizio.
Con una carità che i testimoni definiscono “inesauribile”, egli si fa tutto a tutti. Sono particolarmente i più poveri di mezzi materiali a sperimentare la larghezza del suo cuore: ricchi decaduti, genitori con prole numerosa, artigiani disoccupati, turbe di mendicanti e bisognosi d’ogni genere, trovano sempre aperta la porta del suo cuore. Egli dice “I poveri vanno sempre soccorsi, pensando che sono la persona di Gesù Cristo”. Perciò, anche se egli stesso vive di carità, non manda mai via alcuno senza averlo soccorso.
Mentre vive in famiglia, riserva loro quanto riceve dal ministero e dalla rendita patrimoniale. Ma le richieste sono molte, e spesso, trovandosi senza un soldo in tasca, è costretto o a ricorrere a sua madre, o quando tutto è veramente esaurito, a rispondere al richiedente, con bel garbo: “Niente ho, e niente ti do”. Ed è creduto. 
È noto, infatti, che, dinanzi a bisogni estremi, ha dato anche le sue scarpe, camicie, maglie e zimarre.
 
La sua generosità, però, non è condivisa dai suoi familiari i quali lo esortano a moderarsi alquanto nelle elargizioni, anche perché‚ in famiglia le necessità aumentano e c’è anche una sorella da maritare.  Perciò un giorno la mamma si fa coraggio e gli dice: “Figlio mio, tu noti come i bisogni aumentano.  Conosco la stima che hanno di te i tuoi Superiori.  Perché‚ non accetti qualche parrocchia che essi ti offrono?”.
“Mamma – risponde Gaetano – potrei accettare la parrocchia per cambiare, secondo il tuo desideri, le condizioni economiche‚ della famiglia, magari potrei farti andare in carrozza. Ma… poi… ti sentiresti di venire con me all’inferno?”.
“Questo poi mai”, risponde la pia donna.
“Allora – continua Gaetano- sii contenta del tuo stato.  Mangiate con quel poco che avete ed io sono contento come mi trovo”. E continua per la sua via.
Fondata, poi, la Congregazione, egli dispone di maggiori offerte e s’accresce anche la schiera dei richiedenti, sia in chiesa che alla portineria della Casa religiosa. Nel soccorrere in chiesa, egli è molto delicato. Quando è lui a raccogliere l’obolo, c’è un’intesa con i suoi beneficati: essi devono deporre nel grosso vassoio di rame, nel quale raccoglie le offerte, qualche monetina di scarso valore, ed egli, fingendo di dare il resto, ne consegna una di maggiore valore. Capita cosi che, spesso, al suo ritorno in sagrestia, si contino solo monetine, perché‚ le monete di valore che ha ricevute, hanno preso un’altra strada. Quando poi gli indigenti si presentano in sagrestia, egli fa scorrere destramente nella loro mano l’elemosina, nel momento in cui si chinano a baciare la sua.
Per i poveri non deve mai mancare una minestra calda alla sua tavola o alla sua porta. Mentre vive in famiglia, ha per ospite abituale, “Pascariello ‘o pazzo”, un povero demente che l’attende ogni giorno all’ora di pranzo; non mancano gli ospiti “occasionali” in previsione dei quali, la mamma prepara sempre più abbondante la minestra, badando, nel somministrarla, di servirli per primi, per non sentirsi ripetere dal figlio: “Avete, forse, dimenticato che S. Elisabetta regina, serviva prima i poverelli?”.
 
Dopo la fondazione della Congregazione, agli inizi, fa distribuire ai poveri la stessa minestra preparata per la Comunità, ma, in seguito, quando essi raggiungono quasi il centinaio, fa cucinare appositamente per loro, e questo anche in momenti di ristrettezze economiche. Proprio in uno di questi periodi, un giorno il cuoco, vedendo assottigliare le provviste, gli fa notare che, seguitando di quel passo, giungeranno “ai piedi di Pilato”, cioè alla fame. “Figlio mio – risponde Gaetano guardandolo con commiserazione – hai, forse, dimenticato che tutto quanto abbiamo è roba loro?”.  E, fidando nella Provvidenza, non diminuisce le elargizioni.
Particolari attenzioni usa verso i “ricchi decaduti”. Non poche delle persone che, spesso, egli presenta a tavola come amici e benefattori, sono invece individui ridotti in miseria dal vizio o dalla sventura.  La verità si saprà soltanto dopo la sua morte. Per alcuni di questi che si vergognano di unirsi agli altri poveri alla portineria per prelevare la minestra calda, ha destinato una stanza riservata dove possono consumarla.
Se poi è necessario, con la massima segretezza, invia il cibo anche a casa, come fa ogni giorno con alcune persone malate.
 
E poiché‚ spesso sono gli stessi beneficati a rivelare agli altri tali delicatezze, in paese si suol dire: “Quello che Don Gaetano riceve con una mano, dispensa con l’altra”, oppure: “Le elemosine che gli entrano per la chiesa, le fa uscire per la portineria”.  Infatti da questa escono molte elemosine segrete, oltre quella ordinaria settimanale che fa dispensare a quanti si recano a chiederla anche dai paesi vicini e dalla città di Napoli.
 
Spesso autorizza artigiani disoccupati, con famiglia a carico, a prelevare a suo nome, presso negozi alimentari, il necessario settimanale.  Inoltre paga abitualmente la pigione per alcuni ammalati o a favore di famiglie minacciate di sfratto, per morosità; anzi, riguardo a queste ultime, non esita a farsi garante riguardo al futuro.
Per allontanare qualche giovanetta da ambienti moralmente malsani, la colloca in qualche convitto, pagando egli la retta, o le procura il lavoro presso famiglie timorate di Dio. Ai più poveri, procura anche letti, lenzuola e biancheria intima, privandosi, a volte, anche delle sue lenzuola , pantaloni o scarpe.  E se qualcuno gli fa notare che, cosi facendo egli esagera alquanto, risponde: “S.  Alfonso de’ Liguori vendette anche l’anello vescovile per soccorrere i poveri, ed io che non ho l’anello, do ai poveri quanto trovo nella mia stanza”. Di quanto gli viene dato durante le questue che fa di lino e canapa, una parte la fa tessere per i bisogni della Comunità e l’altra la riserva per i poveri.