Una  task force del cuore
 
Il compito che per anni è stato indicato a don Gaetano Errico, in occasione degli esercizi spirituali di Pagani, prevedeva, oltre alla costruzione della chiesa dell’Addolorata, la fondazione di una nuo-va congregazione religiosa.
Una congregazione religiosa è una organizzazione complessa: deve avere obiettivi chiari, darsi regole precise e praticabili, dispor-re di strutture adeguate, essere solida e nello stesso tempo flessibi-le. Ha bisogno di cuore, ma anche di cervello. Generalmente la fase di avvio è dominata dalla figura carismatica del fondatore, che deve  mettere in gioco il prestigio della sua personalità e la sua abilità persuasiva, senza far perdere di vista ai seguaci l’oggetto, lo scopo e il valore di una particolare scelta di vita, vissuta all’insegna della povertà, della castità e dell’obbedienza evangelica.
La storia delle congregazioni religiose ha uno schema ricorren-te: nasce da una “sfida” tra Dio e il Fondatore; si sviluppa in mezzo a contraddizioni di ogni genere dal momento che la sua presenza provoca nella Chiesa e nella società delle perturbazioni che non tut-ti apprezzano; si consolida grazie all’abilità di chi sa tradurre in percorsi di sviluppo le intuizioni degli inizi e trova il modo di con-solidare le strutture organizzative.
La Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori, fondata da Gaetano Errico, non fa eccezione. Il che non significa che sia un prodotto standardizzato della Chiesa dell’Ottocento. Nessuna Con-gregazione lo è, perché ognuna ha un suo particolare stile interpre-tativo del Vangelo (carisma, appunto). E però le “opere di Dio” se-guono un loro percorso costante, normalmente arduo e ricco di im-previsti dolorosi, al punto che questa costanza rappresenta una pro-va di autenticità.
Per quanto riguarda l’Opera di don Gaetano, gli elementi origi-nali che vorremmo sottolineare sono due: il fatto che ricalchi in qualche modo la Congregazione già fondata da S. Alfonso (si tratta di un doppione apparente, ma al primo impatto anche gli esperti hanno sollevato delle perplessità) e, in secondo luogo, che si ispiri alla devozione dei Sacri Cuori.
Avremo modo di parlare del primo aspetto. Qui, per introdurre la storia della Congregazione fondata da don Gaetano, pensiamo sia utile al lettore conoscere come si è sviluppato, nella storia del po-polo cristiano, quel potente simbolo della fede che è appunto il S. Cuore, simbolo che molte Congregazioni religiose dell’Ottocento hanno scelto come proprio marchio distintivo e da cui hanno rica-vato la propria spiritualità.
“A noi, oggi, la figura del Sacro Cuore dice forse poco perché il rapporto simbolico tra cuore e amore (il cuore simbolo dell’amore) si è estenuato e il discorso amoroso ha preso altre strade in linea con l’erotizzazione generalizzata della nostra cultura. L’amore cioè è vissuto e descritto più come un’espressione della sessualità che come un’espressione della globalità della persona: l’amore è inteso come un effetto, un comportamento psicologicamente e fisiologi-camente determinato, non un progetto di vita. Non è trattato come una questione di cuore ma di pelle. (…)
Nella tradizione cristiana il culto del Sacro Cuore si è sviluppa-to gradualmente, a mano a mano che la riflessione teologica appro-fondiva il senso dell’umanità di Cristo. L’immagine del costato, spaccato dalla punta della lancia che conclude la rappresentazione del dramma del Calvario, si perfeziona: da quella spaccatura è pos-sibile intravedere il cuore del Cristo; essa è una finestra che si spa-lanca dunque sul suo straordinario amore. Il cuore fisico di Gesù diventa il simbolo del suo amore e merita quindi adorazione.
La pietà dei fedeli, meglio della riflessione dei teologi, sa co-gliere il significato profondo di questa immagine e lo traduce in culto a partire dal secolo XI (…).
Sarà una suora visitandina, suor Margherita Maria Alacoque (1645-1690), a seguito di particolari visioni ed esperienze mistiche, a descrivere al meglio il senso e la necessità di questo culto che nella Chiesa assumerà progressiva importanza, grazie soprattutto all’attività apostolica di S. Giovanni Eudes (1601-1680), contem-poraneo di suor Margherita Maria Alacoque, che del culto dei SS. Cuori di Gesù e Maria sarà ufficialmente riconosciuto “padre, dot-tore e apostolo”.
Curiosamente, questa devozione ha assunto una specie di rile-vanza “politica”. Nel 1726 il re di Polonia, con alcuni vescovi, chiese a Benedetto XIII di istituire la festa; il decreto della Congre-gazione dei Riti fu emesso soltanto nel 1765, scatenando la reazio-ne dei giansenisti che parlarono di idolatria di un cuore di carne (…).
“Specialmente in Francia, dopo la rivoluzione e le guerre napo-leoniche, la devozione al Sacro Cuore di Gesù si propaga prodigio-samente. Tutti conoscono il voto al cuore di Cristo, fatto da Luigi XVI, prigioniero nel Tempio, mediante un libretto diffuso a mi-gliaia di copie: La salvezza della Francia”.   (…).
Pio IX ne estenderà alla Chiesa universale il culto, mentre Leo-ne XIII ordinerà la consacrazione del genere umano al Sacro Cuo-re, atto che Pio X vorrà sia rinnovato ogni anno. Questa consacra-zione esalta non solo l’amore di Dio ma riconosce il “potere” uni-versale di Cristo sui destini dell’umanità: è il punto di origine di un’altra grande figura della liturgia e della spiritualità cristiana con-temporanea, quella di Cristo Re”.
Don Gaetano Errico ha una robusta preparazione teologica e una abilità pastorale eccezionale. Su di lui hanno grande influenza il pensiero e la spiritualità di S. Alfonso, centrata – a dispetto delle sue terrificanti descrizioni della morte e del peccato – sulla preghie-ra e sull’amore (“Amore solamente vi cerco, mio Dio, amore, amo-re; io giunga al regno dell’amore, dove senza più domandarlo sarò pieno di amore” ). Per S. Alfonso la centralità della fede sta nel-l’Eucarestia, cui egli riferisce ogni pratica religiosa, devozionale e spirituale.
Don Gaetano ci mette del suo. Anche per lui tutto parte dall’Eu-carestia, il sacramento dell’amore. Anche per lui, la Passione è il passaggio obbligato della salvezza, che è dramma oltre che speran-za. Ma gli serve qualche figura più incisiva, più chiara e potente, sia per essere più efficace nella evangelizzazione sia per dare un miglior obiettivo al suo bisogno di amare, alla sua passione per Dio.
Lui sa bene (con S. Alfonso) che non basta emozionare i fedeli, bisogna convertirli, persuaderli cioè a cambiar vita. Nella ricerca di simboli e concetti per raggiungere questo scopo lo aiuta la sua ec-cellente sensibilità comunicativa e la sua competenza teologica, ol-tre che la sua profonda fede e il grande amore per il prossimo, che è da sempre la cifra della sua personalità.
La figura del S. Cuore, nella sua complessità, mette assieme tut-te queste esigenze e don Gaetano la pone al centro della sua Opera. Scelta tanto più pertinente anche perché rivolta ad un ambiente so-cio-culturale sfilacciato, disorganizzato, tenuto assieme da un pote-re poco meno che poliziesco e esageratamente burocratizzato. Una società priva di un volto, di una identità, che si riconosce nei sotto-gruppi, nelle corporazioni, nelle congreghe, nei clan parentali o camorristi. Ora la storia gli diceva che la figura del S. Cuore di Ge-sù ha svolto anche funzioni di coesione sociale, di aggregazione e di identità nazionale. Sicuramente in Francia, ma non solo. Al S. Cuore sono stati consacrati addirittura gli eserciti di vari paesi. Una forzatura che la dice lunga sulla potenza di certi simboli.
E però pare che a don Gaetano il S. Cuore non basti, come se questa figura non rispecchiasse a pieno la sua sensibilità religiosa e quella della sua gente. Secondo lui il cuore di Gesù è indivisibile dal cuore di Maria. S. Giovanni Eudes l’aveva già evidenziato sia con la sua predicazione sia fondando la Congregazione di Gesù e Maria, significativamente destinata alla preparazione del clero e al-le missioni popolari. Nella scelta di don Gaetano c’è poi, ovviamen-te, S. Alfonso, ma a noi pare ci siano anche lo spirito, la sensibilità, l’emozionalità e la cultura del Sud, che è cultura della famiglia,  a forte connotazione matriarcale, cultura delle figure familiari  (pa-dre, madre e figlio) e delle figure del santo, che segnano il territo-rio, l’onomastica, la tradizione paesana e la vita quotidiana delle persone. Una cultura profondamente impregnata di religiosità, che è fin troppo facile liquidare come emotiva o magico-sacrale, dal momento che in realtà rappresenta il tessuto connettivo della socie-tà meridionale. Una società in cui la donna ha svolto un ruolo non solo espressivo, ma determinante per la coesione, la continuità, la resistenza al degrado e alla devianza, la protezione dei meno garan-titi e persino la promozione della giustizia sociale.
E dunque, anche da un punto di vista puramente culturale, don Gaetano non poteva dimenticare il cuore di Maria. Ovviamente le sue ragioni profonde si rifanno ad una esigenza evangelica. E don Gaetano la esprime in questa frase straordinaria: scopo della Con-gregazione dei Sacri Cuori è “dispensare ai poveri di cuore il santo amore”.
Il cuore insomma è per lui criterio di valutazione e metro di mi-sura, fonte del linguaggio e motore dell’azione. Se “il cuore non lo dice” qualsiasi affermazione è errata e qualsiasi azione non va a buon fine. La modernità di don Gaetano sta in questa riscoperta e in questo rilancio del cuore. A una cultura come la nostra, che ha pau-ra del cuore, egli propone la conversione alla sacralità del cuore e alle sue ragioni superiori.
La missione al popolo, intesa come strategia pastorale di ani-mazione permanente della comunità cristiana, è in realtà una mis-sione del cuore. Don Gaetano ha immaginato la sua Congregazione come una task force dell’amore.
 
 
I primi passi
 
Portata a termine la costruzione della chiesa dell’Addolorata, don Gaetano lascia la casa di famiglia e si sistema in due stanzette adiacenti al sacro edificio. Dal momento che i suoi direttori di spiri-to e i superiori ecclesiastici ritengono il suo progetto valido e volu-to da Dio, si mette subito alla ricerca di un terreno adatto per co-struire la Casa dei futuri missionari. C’è un appezzamento, nei pa-raggi della chiesa, che andrebbe bene. Ma i proprietari sono diversi: alcuni accettano di vendere, ma un certo signor Tramontano fa resi-stenza. E però si ammala, chiama don Gaetano al suo capezzale, chiede di pregare per lui e gli regala, addirittura, il terreno. Sono metodi un po’ spicci con cui la Provvidenza si muove, dando man forte alla sana pazzia dei santi: don Gaetano inizia a costruire il Collegio  dei futuri padri senza una lira in tasca.
Anche in questa circostanza i compaesani ci mettono del loro: lavoro, materiali, offerte e quello che serve. Li guida e governa la  “caporala”, la signora Carmina Marino, che ha muscoli, cuore e voce per tenere tutti alla stanga.
Preparata la struttura, il Fondatore ha bisogno del permesso del-la curia per poter fare vita comune con alcuni sacerdoti che gli han-no già dichiarato la loro disponibilità e il loro interesse a formare un gruppo di operatori pastorali, dediti alle missioni del popolo. Il card. Ruffo Scilla lo stima ma è sordo – effetto del freddo patito durante  la traversata delle Alpi quando i francesi se lo sono portati in esilio a Parigi – e non può far altro che affidarlo al suo segretario del clero, che convoca dei periti per avere un parere fondato.
Muore il card. Ruffo (13 nov. 1832) e il successore – Mons. Filippo Caracciolo – non prende possesso della diocesi se non nell’aprile dell’anno successivo. Don Gaetano gli presenta il progetto e nello stesso tempo si muove sul fronte delle autorizzazioni politiche. Il Ministro degli Affari ecclesiastici sollecita la curia a inviargli la documentazione per poter valutare il progetto. Il nuovo arcivescovo, prima di partire per Roma per ricevere la popora cardinalizia, passa da Secondigliano per rendersi conto di persona su come stanno le cose. È soddisfatto e promette di informare il Papa. Ma a Roma gli dicono che il Papa non intende occuparsi delle nuove imprese e demanda tutto ai responsabili locali. Il nuovo cardinale dà il via libera a don Gaetano e ai suoi amici e seguaci perché facciamno vita comune. E li inviata a dare inizio alle missioni popolari.
Don Gaetano sa benissino che si tratta di un test importante, da cui dipende il futuro della sua Opera. Assieme ai suoi fa un primo intervento a Secondigliano. La missione inizia la sera del 20 gennaio del 1834. Con don Gaetano lavorano sei sacerdoti: incontri, catechismo, prediche, liturgie, azioni penitenziali, confessioni, processioni. Senza una pausa, senza riposo. Un tour de force, anche perché la risposta della gente cresce e la chiesa spesso non riesca a contenere i fedeli.
Il paese è come sotto l’effetto di una scossa benefica, che lo risveglia, nella coscienza e nella fede. Il Sindaco vede risolto in breve il problema della sicurezza e della delinquenza: “Diverse persone – dichiara – depositarono nelle mani di Gaetano armi vieta-te di ogni sorta, da empirne due sporte, mentre non poche giovinet-te si tagliarono i capelli per darsi a vita devota”.
Un vero e proprio restyling religioso e sociale, di cui resta la memoria per molto tempo. Stessi risultati i missionari di don Gae-tano ottengono nel paese di Crispano e in quello di Cesa. Come in-termezzo viene fatta circolare la voce che hanno pugnalato don Ga-etano. Si forma e parte una spedizione punitiva di secondiglianesi contro Crispano. Don Gaetano riesce a intercettare il commando e, per convincerli che non è stato accoltellato, deve mostrare il torso nudo. Una prova forte, che gli merita il bacio della mano e il rien-tro.
Reazioni, gesti e parole sempre ad alta temperatura espressiva.
Il successo di don Gaetano sta in un ottimo impianto comunica-tivo – quello appunto della missione che avremo modo di analizza-re – ma soprattutto nella sua cristallina coerenza, nel suo esporsi sempre in prima persona e in prima fila. Un esempio che tende a diventare regola per  gli altri.
Sua sorella Rosalia, che è una brava ragazza e ogni tanto vor-rebbe divertirsi facendo qualche gita con le amiche, deve ricorrere alla bugia per poter soddisfare i suoi desideri, non condivisi dal fra-tello. Durante la missione di don Gaetano a Cesa, Rosalia organizza con le sue amiche una scampagnata e passa da suo fratello per rifi-largli una bufala micidiale:  Sono venuta per dirti che papà sta male e vuole vederti.
Don Gaetano resta interdetto, le ordina di tornare a casa e di far amministrare all’ammalato l’estrema unzione, mentre lui si darà da fare per riorganizzare il programma di lavoro e poter andare da suo padre. Rosalia è convintissima che suo fratello l’abbia bevuta. Fa la scampagnata ma, quando rientra in casa, resta di sasso: suo padre sta proprio male e c’è già il medico, preoccupato, che cerca di in-tervenire. Il giorno dopo arriva don Gaetano, al quale Rosalia deve confessare tutto. Il fratello abbozza e si incolla al letto del papà fino al momento del decesso. Terminato il funerale, don Gaetano ritorna alla sua missione.
 
 
Difficoltà
 
Il gruppo di sacerdoti che si è formato attorno a don Gaetano fa vita comune, nella Casa di Secondigliano che viene formalmente organizzata e riconosciuta come Ritiro. Si tratta di un istituzione giuridica di provenienza francese. Prima della Rivoluzione per “Ri-tiro” si intendevano della case religiose o semireligiose in cui veni-vano accolte della ragazze a scopo educativo o preventivo (Conser-vatorio) oppure delle case in cui delle persone pie si trovavano per vivere una vita cristiana più rigorosa e staccata dal mondo. Dopo la Rivoluzione, il Ritiro assume una connotazione più semplice di as-sociazione di persone che intendono vivere in maniera particolar-mente intensa la loro fede, nel rispetto di certe regole, condivise e pubbliche. 
Formula molto diffusa, anche in Italia, che in quei tempi aveva anche il pregio di mettere d’accordo Stato e Chiesa: l’associazione non rischiava di essere un pericoloso aggregato di facinorosi o di devianti, ma aveva un suo capo noto, delle regole codificate, degli scopi dichiarati e verificabili, una sua amministrazione.
Don Gaetano organizza in maniera piuttosto articolata la sua opera. Al nucleo fisso dei sacerdoti che fanno vita comune (i Riti-rati) unisce il gruppo dei Coadiutori che intervengono a dare man forte in occasione delle missioni e quello dei Collaboratori, che fanno da promotori. Una organizzazione un po’ barocca dal punto di vista burocratico che ha comunque il pregio di distinguere bene le mansioni degli addetti, il compito dei consulenti temporanei e il marketing dei servizi.
Ci sono tutte le premesse perché l’impresa si sviluppi senza in-toppi, ma i cambiamenti che essa introduce nel sistema socio-religioso di Napoli fanno storcere il naso a più di qualcuno. E, co-me da copione, partono critiche e calunnie.
A muovere le acque cominciano gli amici di sempre, i Redento-risti di Pagani, i quali temono che don Gaetano non miri tanto fon-dare una nuova congregazione, simile a quella di S. Alfonso, quan-to a riformare quella già esistente. Motivo? Quella grande sintonia tra don Gaetano e il P. Luigi Rispoli, redentorista ma forse spirito piuttosto libero e un po’ troppo convinto difensore dell’azione di don Gaetano, puzza di bruciato alle narici di qualcuno. La dietrolo-gia non ha età, nemmeno nella Chiesa.
Il Rettor Maggiore dei Redentoristi chiede l’intervento del Re e vuole che sia proibito ai seguaci di don Gaetano di indossare un a-bito  del tutto simile a quello dei suoi religiosi. La tonaca fa il mo-naco, eccome.
Si muovono le alte gerarchie – il Ministro degli Affari Ecclesia-stici e il cardinale di Napoli – per rassicurare il Re che non c’è al-cun plagio. E la contestazione rientra.
Ma siamo al secondo atto, quello delle calunnie. Don Gaetano viene pubblicizzato come un prete “illuso, vanitoso e fanatico”. Si fanno circolare documenti che illustrano come in diocesi non ci sia affatto bisogno di un Ritiro, perché di preti buoni e zelanti ce ne sono a sufficienza. Si preme sulle massime autorità, che avevano voce in capitolo anche nella fondazione delle opere religiose, per impedire che venga fondata una ennesima congregazione missiona-ria quando nel Regno di Napoli ce ne sono ben quattro. Qualcuno avverte don Gaetano che il re è proprio prevenuto nei suoi confron-ti.
Ma tutto rientra. La Consulta di Stato, nel dicembre 1835, dà parere favorevole. Il re lo firma e il decreto di approvazione del Ri-tiro viene promulgato il 14 marzo 1836.
È lo stesso card. Caracciolo a inaugurare ufficialmente l’opera. Una cerimonia breve. I missionari partono subito per una missione a Capodichino.
Il terzo atto è quello dell’abbandono dei primi seguaci. Don Ga-etano intendeva fondare una Congregazione religiosa vera e pro-pria, con tanto di voti e di costituzioni. Ma i suoi primi collaborato-ri non erano dello stesso parere: fino a che si fosse trattato di fare vita comune per svolgere meglio il lavoro delle missioni popolari, niente da dire, ma diventare religiosi no. E se ne vanno tutti, eccet-to don Luigi Fabozzi e Fra Cosma Cristiano, compagno indivisibile e braccio destro di don Gaetano.
Decide di continuare l’attività delle missioni da solo e deve in-goiare le domande provocatorie di tanti: come mai da solo? che co-sa è successo? non era una buona idea?
Una fase di transizione che dura poco. Due sacerdoti e sette giovani gli si presentano nel giro di pochi mesi e gli permettono di aprire il noviziato.
È in questo periodo che viene da lui anche un ragazzino, fragile e malato, che da tempo bussa alle porte dei conventi per venire ac-colto ma senza risultato. Ha una inguaribile piaga ad una gamba. cammina appoggiato ad una stampella e nessuno lo vuole. Don Ga-etano gli parla a lungo e si rende conto che il ragazzo è speciale. Ci pensa e scambia con la sorella Rosalia quattro chiacchiere sull’ar-gomento. La sorella che è donna pratica, taglia corto: ma come pensi di iniziare una congregazione prendendo un ammalato? La risposta di don Gaetano rende bene che cosa lui intenda per vita re-ligiosa a servizio della Chiesa:
– Poco m’importa che sia un infermo, mi preme piuttosto che il primo che entri in Congregazione sia un santo… più che santo.
Il metro di selezione potrà risultare un po’ bizzarro o forzato. Ma noi oggi sappiamo, dalla teoria delle organizzazioni, che il suc-cesso di una qualsiasi organizzazione dipende dalla presenza in es-sa di persone che decidono, di persone che eseguono, di persone che pensano e di persone creative. Ora gli unici creativi di cui di-sponiamo sono gli artisti e i santi: gli artisti non aderiscono alle or-ganizzazioni per ovvi motivi; i santi sì. In termini manageriali, don Gaetano ha centrato la questione. E che i suoi parametri siano di-versi non modifica il risultato: per quel tanto di organizzativo che anche le opere di Dio devono avere, la loro stabilità e la loro cresci-ta rispondo alla regole di qualsiasi altra organizzazione.
I santi sono utili, oltre che santi.
Per tornare al ragazzo ammalato l’idea di don Gaetano non ha potuito andare a buon fine. Nunzio Sulprizio muore qualche mese prima che il Noviziato abbia inizio. Lo veneriamo come beato dal 1963.
La data canonica di inizio della Congregazione dei Sacri Cuori è il 1° ottobre 1836. “Egli dopo averli infervorati con la sua calda parola li riveste con la divisa che ha scelto per la Congregazione: una vesta nera con colletto di tela bianco, una fascia nera ai fianchi, dalla quale pende una lunga corona, un ampio mantelle nero e inol-tre, come segno di riconoscimento e come programma di vita dei congregati. ha fatto applicare sul lato destro della veste all’altezza del petto, un ovale di stoffa sula quale appaiono ricamati “i Sacri Cuori di Gesù e di Maria, con due angeli adoranti, contornati da Cherubini”” .
Abbiamo già avuto modo di ricordare come nel 1836 a Napoli sia scoppiato il colera e come don Gaetano abbia prestato la sua opera senza risparmiarsi, dimostrando una notevole confidenza con il soprannaturale. Nelle prime Regole da lui redatte ad esperimento in vista delle vere e proprie Costituzioni, oltre alla indicazioni pra-tiche e alle esigenze organizzative troviamo la chiave di lettura di questa sua capacità di fare la storia, guardando molto lontano.
Questa chiave di lettura è il fuoco, quello evangelico, che se-condo Luca,  Gesù sarebbe venuto a portare sulla terra e “quanto desidererei che fosse già acceso”. Presente in tutte le esperienze mistiche, il fuoco rappresenta la potenzia creatrice di Dio. Non ha funzioni distruttive (il biblico roveto ardente non si consuma) ma costruttive: purifica, tempera, riscalda, forgia, si propaga veloce-mente e dunque accelera il cambiamento. Il fuoco ha la stessa po-tenza del cuore, che non si esaurisce nell’amore ma più ama e più cresce, si rinforza, si sente vivo.
Il fuoco è anche chiarezza di idee, precisione. È trasparente, non nasconde la sua azione, ma non ammette mezze misure. Il fuoco o è acceso o non è. È caldo non tiepido.
Fin troppo evidentemente il collegamento cuore-fuoco-amore. La simbologia di don Gaetano ha una temperatura molto elevata e ha una potenzialità di sviluppo straordinaria.
Basta analizzare quella particolare strategia di evangelizzazione da lui adottata e portata alla perfezione che è la missione popolare.